giovedì 27 giugno 2013

«I marò, una commedia degli errori all’italiana»




«Il governo italiano ha una responsabilità enorme sulla vicenda dei marò italiani, la crisi è stata gestita malissimo, e ha rischiato di produrre un effetto a catena a livelli internazionale; il premier Cameron sbatteva la testa contro il muro non riuscendo a capacitarsi di quello che stavano combinando a Palazzo Chigi». Mark Lowe, vent’anni di esperienza nel campo della sicurezza e della difesa, consulente di governi e servizi, direttore e responsabile delle riviste Maritime Security Review e di KR Magazine(periodico che si occupa esclusivamente di studiare e analizzare a livello internazionale ogni forma di kidnapping, di rapimento), non ha dubbi sul come e perché i fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono finiti nel pasticcio in cui sono finiti, e come forse avrebbero potuto evitare di finirci. Ieri Mark Lowe ha incontrato il pubblico del festival èStoria di Gorizia, assieme a uno scatenatissimo Edward Luttwak, nell’ambito dell’incontro “Pirati oggi. Geopolitica del fenomeno dall’Indonesia alla Somalia”, coordinato da Gianandrea Gaiani. È stato inevitabile tirare in ballo i marò, anche perché la loro vicenda è paradigmatica del fenomeno globale della moderna pirateria, e di come Stati, governi, organizzazioni internazionali e armatori stiano provando ad affrontarla.

Nell’ambito di un’edizione della rassegna goriziana dedicata ai banditi, ovviamente il tema dei pirati è stato toccato più volte: dai mitici pirati dell’Adriatico, gli Uscocchi, ai pirati dell’antica Roma (ne hanno parllato Giovanni Brizzi, Nic Fields e Gianpaolo Urso) fino alla pirateria del lontano Oriente all’epoca dei samurai (con Angus Konstam e Stephen Turnbull). Ma sono i pirati dei giorni nostri a prendersi la scena in un momento in cui il fenomeno a livello mondiale è in crescita, dando origine a un sistema criminale molto complesso e, dice Mark Lowe, «pieno di aree grigie». Secondo gli ultimi dati resi noti tre giorni fa, nelle acque prospicenti il Corno d’Africa, e in particolare in Somalia, nel 2012 si sono verificati 29 “incidenti” dovuti alla pirateria con un caso di fallito abbordaggio. Complessivamente, in quella parte di mondo, la pirateria è diminuita del 69 per cento rispetto al 2011. «Ma questo - spiega Lowe -, è dovuto alla politica del nuovo presidente Hassan Sheikh Mohamud, un islamico moderato che piace a tutti, che vuole piacere a tutti, e che ha sostanzialmente detto ai pirati di casa sua di starsene buoni se non vogliono passare seri guai». In altre parti del globo le cose non vanno così. Per esempio nel Golfo di Guinea, in particolare alle roventi foci del Niger, dove nel 2012 ci sono stati 59 casi di pirateria, con 7 abbordaggi e sedici rapimenti. «I pirati nigeriani sono i più feroci e disperati - spiega Lowe, operano anche cento miglia al largo della costa, non vanno confusi con il Mend, il Movimento di emancipazione del delta del Niger, e puntanto al furto dei carburanti; basterebbe impiantare una raffineria in Nigeria e ad uso della Nigeria per spuntare le armi ai pirati». E poi c’è il Sud Est asiatico, con 58 casi di pirateria, anche se lì, dice ancora Lowe, «si tratta di pirateria di basso livello, più che altro rapine ai danni di barche alla fonda».

 Nel complesso il fenomeno della pirateria mondiale è in crescita, continua Lowe, «mentre manca una regia unica di contrasto, che dovrebbe essere affidata alle Nazioni Unite, per intervenire in modo efficace». «I pattugliamenti servono a poco - spiega l’esperto - solo nell’Oceano Indiano sono schierate almeno venti unità navali, ma l’area è vastissima, è come pattugliare l’intera Europa occidentale con quattro automobili». In più l’impiego di queste unità costa ai governi 320mila euro al giorno per ogni nave, vale a dire sei milioni e mezzo di euro, tutti soldi dei contribuenti: «fondi che potrebbero essere utilizzati diversamente, per aiutare quei Paesi a casa loro, visto che ciò che accade in mare non è altro che il riflesso di ciò che avviene a terra». Come sempre, questione di scelte politiche. E di capacità organizzativa. Tornando ai marò italiani sotto processo in India, conclude Lowe, l’incidente non sarebbe accaduto se il governo italiano avesse emanato in tempo il decreto attuativo che fissa termini e regole d’ingaggio: «I due marò sono soldati ben addestrati, ma le regole non erano chiare, e forse qualcuno avrebbe dovuto spiegare loro il contesto in cui operavano, per esempio che in quelle acque ci sono molti pescherecci che gettano reti di posta spesso distrutte senza volere dai mercantili in transito, perciò quando un peschereccio vede una nave avvicinarsi alle reti corre per fargli cambiare rotta, magari senza pensare che tutta quella fretta può essere male interpretata da chi, a bordo del mercantile, ha l’ordine di garantire la sicurezza; l’incidente può succedere, ma se il governo italiano fosse intervenuto subito assumendosi le sue responsabilità adesso i marò non sarebbero nella situazione in cui sono». «È stata una commedia degli errori - ha evidenziato anche Luttwak -: anzitutto se non sparano gli altri, non si spara. Poi ci sono stati gli errori diplomatici: il sottosegretario De Mistura ha alzato un inutile e rumoroso polverone sulla vicenda, dopo che l’India aveva volutamente tenuto sotto silenzio l’episodio; poi il ministro degli Esteri Terzi di Santagata, ha consigliato di violare il patto con la Corte Suprema indiana». Insomma, il solito pasticcio all’italiana.
(Fonte)

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