venerdì 26 dicembre 2014

Anche gli ebrei in piazza per i marò e per noi una lezione di orgoglio!

#Bringbackourmarò è la campagna lanciata dalla comunità ebraica romana per riportare a casa i marò italiani, per tre anni imprigionati in India pur senza aver subito alcun processo. Riccardo Pacifici, presidente della comunità romana, promette un’iniziativa al giorno. Il caso dei marò sta assumendo le dimensioni di una vera umiliazione nazionale. Ben tre governi, Monti, Letta e Renzi non sono riusciti a tirarli fuori, nonostante la legge ci dia ragione. Prima di tutto perché i due militari italiani, Latorre e Girone, sono sospettati di un crimine su cui non esistono prove certe. E che, anche nel caso fosse stato commesso, è comunque avvenuto in acque internazionali, dunque non competerebbe neppure alla magistratura indiana.
A muoversi è la comunità ebraica, non tanto la società civile italiana. Solo le giunte di centrodestra stanno esponendo il poster con i volti dei due marò, per chiederne la liberazione. Le giunte di sinistra non ci pensano neppure. Da parte dell’ex ministro degli Esteri Emma Bonino, erano giunte solo parole, incredibili per la loro mancanza di garantismo: “Potrebbero anche essere colpevoli”. Quando tutti sanno che, in un sistema giuridico liberale, si è innocenti fino a prova contraria. La sinistra più chic schifa il populismo di chi rivuole indietro “i nostri ragazzi”. Non è infrequente che l’immagine dei marò subisca lo sfottò di attori, comici, vignettisti. Allo sfottò della sinistra chic, segue la violenza belluina della sinistra dei centri sociali. Quella che, il 25 aprile scorso, a Milano, inneggiava alla morte dei marò. Scene che dimostrano come, in Italia, vi sia ancora una strisciante guerra civile fredda.
Non deve stupire che a muoversi con decisione sia, appunto, la comunità ebraica. Nella cultura ebraica nessuno deve essere lasciato indietro. La storia di Israele è costellata di “soldati Ryan”, il cui recupero, anche in circostanze impossibili, costa la vita di altri valorosi soldati. Il fratello maggiore di Netanyahu, Yonatan, ha perso la vita il 4 luglio 1976 per liberare gli ostaggi israeliani su un aereo dirottato a Entebbe, a migliaia di chilometri da casa sua. Quando il caporale Gilad Shalit venne fatto prigioniero da Hamas nel 2006, gli ebrei di Israele sono stati pronti ad accettare il rilascio di 1000 terroristi in cambio della sua liberazione, dopo cinque anni di trattative e tentativi di liberazione. Sono disposti a scambiare prigionieri, pur di riavere almeno il corpo dei loro soldati caduti, come nel caso di Eldad Regev e Ehud Goldwasser, assassinati da Hezbollah il 12 giugno 2006. Nessuno, in Israele pensa di prendere in giro “i nostri ragazzi”, né tantomeno ne chiede l’assassinio. E almeno le istituzioni italiane hanno mostrato piena solidarietà, sia quando si trattava di trattare per la liberazione dei loro ragazzi, sia per piangerne la morte, come è capitato nel giugno scorso con il rapimento e l’omicidio di Eyal Yifrach, Ghilad Shaer e Naftali Frenkel.
Ma perché è particolarmente importante constatare che la comunità ebraica italiana sia praticamente l’unica a mobilitarsi per i nostri ragazzi? Perché, ancora oggi, a quasi settant’anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il 51% degli italiani è ancora convinto che gli ebrei italiani siano più fedeli a Israele che non all’Italia. Lo rivela l’ultimo monitoraggio della Anti Defamation League: alla domanda “gli ebrei sono più fedeli a Israele che a questo paese”, il 51% degli italiani, al 58% maschi, al 52% fra i 18 e i 34 anni di età (giovani adulti), ritiene che “sì, è probabilmente vero” che gli ebrei sono un corpo estraneo.

Gli ebrei difendono i nostri ragazzi, ma noi non siamo mai riusciti a difendere i loro, sul suolo italiano. Li abbiamo lasciati massacrare nella strage di Fiumicino del 1973, nella strage della sinagoga di Roma del 1982, nella seconda strage di Fiumicino del 1985, tutti episodi che l’opinione pubblica italiana ricorda a stento. Perché le considera vittime ebraiche, di un conflitto che non ci riguarda, quasi appartenessero a un altro paese, non al nostro.
E questo in Italia, che è uno dei paesi meno antisemiti d’Europa, ormai. In Francia va peggio, perché si moltiplicano aggressioni fisiche e intimidazioni contro la comunità ebraica più numerosa d’Europa. In Svezia va ancora peggio. Nel paese nordeuropeo, l’unico ad aver riconosciuto l’indipendenza della Palestina, un deputato di destra, Björn Söder, ieri è arrivato a dire che gli ebrei, per essere dei veri svedesi, devono rinunciare alla loro identità religiosa. In Italia nessuno lo dice, ma il 51% degli italiani lo pensa.

di Stefano Magni  su l'intrapprendente  Giornale D'opinione dal Nord


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