martedì 19 gennaio 2016

Gattegna: Francesco in Sinagoga, cordialità contagiosa



Un evento di grande significato nel dialogo di amicizia e fraternità tra ebrei e cristiani. All’indomani della visita di Papa Francesco alla Sinagoga di Roma - a 30 anni dalla storica visita di Giovanni Paolo II nel Tempio maggiore - Alessandro Gisotti ha chiesto un commento a Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei):

R. – E’ la terza visita di un Papa in Sinagoga e quindi anche noi abbiamo recepito un senso di continuità rispetto ai Pontificati precedenti: è una tradizione consolidata, questa visita … Quello che voglio aggiungere è che c’è una continuità nel progresso, perché il dialogo interreligioso tra ebrei e cattolici è proseguito nel frattempo e si vedono dei risultati anche nelle ultime dichiarazioni di questo Pontefice che ha detto cose molto importanti per gli ebrei, dal punto di vista delle radici ebraiche del cristianesimo e dal punto di vista della pratica rinuncia della Chiesa a tentare qualsiasi tipo di conversione.

D. – Ovviamente, i discorsi hanno avuto una grande importanza, quelli del Papa come quello del Rabbino capo Di Segni e non solo. Il clima, però, ha colpito: questa cordialità …

R. – Sì, questo c’era stato anche nelle precedenti visite. Questo Papa ha un calore comunicativo particolare, quindi è un po’ contagioso nei gesti, nei modi di comportarsi! Lui ha manifestato un grande entusiasmo per essere tra di noi ed è stato ricambiato.

D. – Si vede che è un pastore che ha un’amicizia con la comunità ebraica - in particolare ovviamente quella di Buenos Aires - che viene da lontano …

R. – Sì, sì: lo ha dichiarato espressamente. Ha un interesse molto accentuato per tutto ciò che riguarda l’ebraismo, proprio perché vive il suo cattolicesimo come una religione che ha le sue radici nell’ebraismo. Una frase così taglia corto il discorso di qualsiasi tipo di pregiudizio, qualsiasi tipo di diffidenza; qualsiasi ostilità viene completamente neutralizzata da un’impostazione del genere. Noi siamo una generazione fortunata, perché questa svolta dal punto di vista teologico-religioso, che poi però ha anche dei risvolti nella vita di tutti i giorni, nella vita civile, deve essere trasmessa a tutta la popolazione. Ora che questo è fatto, bisogna far partecipare tutta la popolazione a questo e non lasciare indietro le persone meno fortunate che hanno meno possibilità di studiare e leggere tutti i documenti che vengono emessi.

D. – Secondo lei, c’è un valore, anche una proiezione che travalica i pur importanti rapporti tra cattolici ed ebrei, nell’incontro di ieri, specie in un momento in cui c’è chi addirittura usa il nome di Dio per giustificare la violenza?

R. – Il messaggio è che ebrei e cristiani, nella ricerca della pace e nella ricerca della pacifica convivenza, nella ricerca della comprensione, dell’accettazione di religioni diverse, sono alleati in questo; anche perché invece sia gli ebrei sia i cristiani vengono visti da alcune frange estremiste che sono diventate molto violente… vedono chi non è della stessa religione come un infedele la cui vita praticamente non vale più niente, e vengono uccise ogni giorno – lo vediamo – centinaia o migliaia di persone, in nome di Dio. Allora, in nome di Dio – secondo noi – questo assolutamente è vietato, non si può fare e non è credibile ed è qualcosa che dev’essere completamente sradicata dalle menti!

Sulla giornata di ieri, questo il commento di Riccardo Pacifici, già presidente della comunità ebraica di Roma, al microfono di Michele Raviart:

R. – Oggi era una bella giornata a Roma, non è solo un problema di metafora; c’era una luce, un bel sole invernale che voleva dare speranza alle tenebre di chi cerca di mettere il terrore, la paura. Quando consegnai la lettera al Pontefice - circa un anno e mezzo fa a Piazza Santa Maria in Trastevere, grazie agli amici di Sant’Egidio, per invitarlo alla Sinagoga insieme al Rabbino capo - disse subito di sì, ma il momento internazionale era diverso, le aspettative erano diverse in quella visita. Da un anno e mezzo a questa parte, purtroppo tante cose sono accadute: gli attentati terroristici a Parigi, a Copenaghen, a Tolosa, nel frattempo abbiamo avuto anche Istanbul e, come ha detto la presidente Dureghello, gli attentati in Israele guidati da quella stessa ideologia in nome di Allah: “Allah akbar”, così si presentano prima di compiere gli omicidi. Vorrebbero cercare di interrompere tutto questo. Penso che stiamo dando un esempio dove le religioni - come ha detto il Rabbino Di Segni nel suo discorso - non sono qui oggi per convincersi della verità l’uno dell’altro, ma per capire come insieme, con i valori comuni, cosa si può fare per il benessere comune. Oggi siamo di fronte a sfide importanti che non riguardano solamente la lotta al terrorismo, ma anche il disagio delle persone, i migranti, le famiglie che non arrivano alla fine del mese e che - nello stesso tempo - percepiscono gli arrivi dei nuovi migranti, dei disperati, come una minaccia. Questo provoca nello stesso tempo, in questo anno e mezzo, un’ulteriore avanzata - anche in percentuali molto forti - delle forze xenofobe, razziste, non solo antisemite, ma soprattutto contro gli altri, contro gli immigrati. Oggi credo che noi possiamo rilanciare con forza, con l’abbraccio, con il sorriso, l’idea che insieme dobbiamo trovare delle sfide per accogliere, per portare la solidarietà, per dare un sorriso e - come ha detto Ruth - per prendere anche esempio da chi durante la Shoah non rimase indifferente – non c’erano solo i delatori e quelli che portavano le persone nei forni crematori - ma c’erano anche coloro che salvavano e hanno rischiato la loro vita. Questo oggi è il nostro ruolo. Questo è il momento in cui noi dobbiamo capire quel è il nostro ruolo per aiutare i più poveri.

D. – A livello internazionale, in tutto il mondo, un incontro che almeno formalmente è l’incontro di vescovo e la comunità ebraica della società - chiaramente c’è molto più di questo - quale eco può avere?

R. – È sorprendente come qualcuno metteva in dubbio se fosse utile confermare il Giubileo: non solo lo abbiamo confermato, ma durante questo - in una giornata così importante, come quella del 17 gennaio celebrata dalla Conferenza episcopale come la Giornata del dialogo ebraico-cristiano - si è voluto fare un incontro nel momento forse più pericoloso. Abbiamo affrontato a testa alta, con il sorriso, con serenità, con fedeli di diverse religioni – c’erano anche i rappresentanti del mondo islamico – abbiamo dimostrato che possiamo e dobbiamo stare insieme. Stiamo mandando un messaggio che vuole lanciare questa sfida, forte, senza alcuna paura, posso dire anche con l’orgoglio. A mio avviso, abbiamo la necessità - lancio un messaggio e spero che venga compreso - di rafforzare le nostre identità. Questo lo dobbiamo fare nelle scuole, facendo capire ai giovani chi siamo, da dove veniamo per accogliere meglio gli altri e spiegare come abbiamo costruito le nostre democrazie.

Ma ascoltiamo alcune voci raccolte all’uscita dalla Sinagoga da Michele Raviart:

R. – Speriamo - come ha detto il nostro Rabbino capo – che questo evento si ripeterà, visto che è già la terza volta che accade. È abbastanza chiaro che sarà un evento sempre in progressione. Mi ha commosso il pensiero che se fossimo stati qui un secolo fa, sicuramente questo evento non ci sarebbe stato.

R. – È un segno dell’unione di tutti gli uomini di buona volontà nell’unico Dio e contro tutte le guerre, le violenze, a favore della pace.

R. – Quando hanno parlato il Rabbino e Papa Francesco è stato molto, molto commovente. È stato commovente anche il momento del canto trovato ad Auschwitz.

R. - È molto bello, importante. Abbiamo visto insieme che bel calore c’è stato.

R. - Molto bene. È stato un incontro molto interessante; c’era un’atmosfera rilassata, piacevole … Ha raggiunto lo scopo anche dal punto di vista iconografico, dei discorsi fatti.

D. – Qual è stato il momento che l’ha colpita di più, che l’ha commossa?

R. – Quando la presidente ha toccato il discorso sulla Shoah: è scattato l’applauso, anche il Papa si è alzato in piedi. È stato un segnale veramente molto positivo.

R. – Soprattutto la fine, quando ci ha dato la benedizione in italiano e secondo il rito ebraico. È stato emozionantissimo. Sono pochissimi versi che recitano quello che il Papa ha detto: “Ti benedica il Signore, volga lo sguardo su di te e ti dia la pace”. È stato veramente emozionante sentire un Papa dare la benedizione secondo il rito ebraico.

Fonte Radio Vaticana




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